venerdì 28 marzo 2014

Giuseppe Scopelliti, attuale Governatore della Calabria, condannato a sei anni di carcere.

L’ex sindaco Giuseppe Scopelliti è penalmente responsabile del cratere di bilancio, dalle dimensioni ancora da definire, che negli anni della sua amministrazione si è creato nelle casse del Comune di Reggio Calabria. È quanto ha stabilito ieri sera il Tribunale, presieduto da Olga Tarzia, condannando l'attuale Governatore della Calabria a sei anni di reclusione e interdizione perpetua dai pubblici uffici al termine del processo Fallara, che lo ha visto imputato e sanzionato, ieri, per falso in atto pubblico e abuso d’ufficio.


Assieme a lui, condannati per falso a tre anni e sei mesi anche i tre revisori dei conti dell’epoca, Carmelo Stracuzzi, Domenico D'Amico e Ruggero Alessandro De Medici. Il governatore è stato anche condannato al pagamento di una provvisionale pari a 120mila euro, a 20mila euro i revisori. Il risarcimento verso il Comune sarà, invece, quantificato in un altro giudizio. L’atto in questione, che dal 2008 al 2010 sarebbe stato volutamente alterato – tanto per i tre revisori che lo hanno certificato, tanto per Scopelliti che ne è il responsabile giuridico e politico –, è il bilancio del Comune di Reggio Calabria. Un buco nero nel quale – hanno accertato i periti incaricati dalla Procura – in due anni, grazie a un'infinita gamma di presunti artifici contabili, sono spariti oltre 87 milioni di euro.
 Manovre finanziare complesse, quasi spericolate. Ma necessarie. Per far quadrare i conti. Per rispettare il Patto di stabilità. E quindi poter spendere, assumere, contrarre mutui, pagare consulenze e progettazioni. E accumulare debiti su debiti, che sarebbero stati mascherati abilmente. Medesimo modus operandi fotografato dalla relazione degli ispettori del ministero dell'Economia, secondo i quali – tra il 2006 e il 2010 – dalle casse comunali sarebbero spariti oltre 170 milioni di euro. Una voragine, si legge in quel documento, «approssimata per difetto», perfettamente compatibile con il cratere accertato per il biennio 2008-2010. Stando alle ipotesi della Procura, confermate dalla sentenza di primo grado, a rendere possibili tali alterazioni sarebbe stata la potentissima ex dirigente del settore Bilancio, Orsola Fallara, accusata non solo di essersi indebitamente liquidata ingenti somme di denaro per aver assunto la difesa dell’ente di fronte alla commissione tributaria, ma anche di avere, per anni, gonfiato il bilancio e alterato i documenti contabili al fine di rendere possibili spese e contributi insostenibili per le casse del Comune. Alterazioni frutto di precise indicazioni politiche che hanno dato luogo – aveva spiegato il pm in sede di requisitoria, sintetizzando quanto emerso nel corso della lunga istruttoria dibattimentale – ad un «quadro devastante di irregolarità enormi e reiterate nel tempo, che risponde a precise scelte politiche di fondo necessarie per aggirare i vincoli. Una procedura che generalmente passa attraverso due operazioni: sovrastimare le entrate e camuffare le spese, gestite in modo che non compaiano nei bilanci. A Reggio Calabria sono state fatte entrambe le cose». E sarebbero state fatte su precisa indicazione politica.
Quelle manovre finanziare complesse, quasi spericolate, necessarie per far quadrare i conti, rispettare il Patto di stabilità, ma nel frattempo spendere, assumere, contrarre mutui, pagare consulenze e progettazioni, dare finanziamenti senza criterio alcuno ad associazioni, fondazioni, chiese e comitati – ha chiarito il dibattimento – servivano per mantenere se non allargare quelle sacche di consenso su cui il cosiddetto “modello Reggio” si sosteneva. «Una rappresentazione della situazione reale dell’ente avrebbe comportato un aumento delle tasse e una contrazione dei servizi e questo avrebbe comportato una riduzione del consenso. Non trattare questo argomento vorrebbe dire tapparci gli occhi. Quei bilanci sono serviti a realizzare il programma del sindaco. Chi glielo faceva fare alla Fallara?», aveva tuonato il pm in aula per spiegare quanto emerso dalle parole dei testimoni che si sono avvicendati di fronte al Tribunale. Non ha dunque tenuto la linea difensiva che ha tentato di ritrarre Scopelliti come vittima delle manovre della dirigente del settore Finanza e Tributi, che per anni lo avrebbe ingannato per interessi meramente personali, né la supposta e sbandierata autonomia dell’apparato burocratico dall’organo politico. Al contrario, il procedimento ha dimostrato che la macchina amministrativa – come del resto è logico che sia – si è sempre mossa per assecondare precisi progetti e indicazioni dell’organo politico, il cui massimo rappresentante, il sindaco dell’epoca Giuseppe Scopelliti, è oggi chiamato a pagare per i guasti provocati.

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