La Commissione cultura del Comune di Cosenza, presieduta da Claudio
Nigro ha assegnato, nel corso di un incontro tenutosi a Palazzo dei
Bruzi, un riconoscimento al giornalista Gregorio Corigliano per la sua
attività, ma anche per l’ultima sua fatica letteraria, il libro “I diari
di mio padre – 1938-1946”, edito da Pellegrini, in cui racconta gli
anni della prigionia del padre, Antonino Corigliano, partito per il
servizio militare a Cesena, in Emilia Romagna, e ritrovatosi, dopo lo
scoppio della seconda guerra mondiale, mentre era sottufficiale in
Libia, in India, dove rimase per cinque lunghi anni.
Ad introdurre l’incontro con il giornalista Gregorio Corigliano, nativo
di San Ferdinando, già caporedattore della sede regionale Rai per la
Calabria e per lunghi anni inviato, è stato il Presidente dell’organismo
consiliare Claudio Nigro.
Il compito del relatore è toccato, invece, al consigliere Mimmo
Frammartino che ha ricordato l’impegno di Corigliano nella Rai
all’interno della quale si è occupato per molti anni di cronaca, ma
anche di politica.
“Pur sapendo che non sei cosentino di origine – ha detto Frammartino -
sappi che Cosenza ha il piacere di riconoscerti come suo figlio, per
aver scelto di lavorare e vivere nella nostra città e per averla seguita
con passione e dedizione”.
Frammartino si è detto molto colpito dalla prefazione al libro di
Corigliano, firmata dal giornalista ed editorialista di “Repubblica”
Vittorio Zucconi che nei diari raccontati da Gregorio ha trovato più di
un punto di contatto e dei significativi parallelismi con le vicende
che, durante la guerra, hanno riguardato il padre Guglielmo Zucconi e il
suocero Augusto Tibaldi.
Il libro ha accumulato già tantissime recensioni, alcune delle quali
molto autorevoli, come quella di Carlo Baroni sul “Corriere della Sera” e
vanta già 50 presentazioni in tutta la Calabria e tra qualche giorno
continuerà questo tour appassionante anche a Vibo, Mammola e Soveria
Mannelli.
Quando prende la parola, Gregorio Corigliano dedica subito e senza
esitazioni, questo suo nuovo riconoscimento, attribuitogli dalla
Commissione cultura di Palazzo dei Bruzi, al Circolo della stampa “Maria
Rosaria Sessa” di cui è Presidente, rappresentato in sala, tra gli
altri, dai Vice Presidenti Rosellina Arturi e Franco Rosito. Poi ammette
di sentirsi cosentino da 32 anni, quelli trascorsi da quando, nel 1982,
venne assunto nella redazione della Rai regionale, a quei tempi ancora
in via Montesanto, tant’è che la prima casa cosentina di Gregorio fu
l’Hotel Imperiale di viale Trieste, a pochi metri dalla sede Rai.
“E’ il primo e unico riconoscimento pubblico che mi viene dalla città di
Cosenza – ha proseguito il giornalista. Ecco perché mi riempie
d’orgoglio sentirmi rivolgere apprezzamenti che non credo di meritare
fino in fondo, in quanto non ho fatto altro che fare il mio dovere,
quello di giornalista abituato a non guardare mai l’orologio”.
E ricorda le notti trascorse sull’Aspromonte, ai tempi dei sequestri di
persona di Cesare Casella e di Carlo Celadon, quando spesso dormiva in
macchina, insieme agli specializzati di ripresa, ad attendere le notizie
sul campo, stando sempre sul pezzo e pronto a prendersi la linea dal
telegiornale della RAI ogni volta che c’era una novità da comunicare.
Altri tempi, quando non c’erano ancora i cellulari e soprattutto quando
non c’era ancora Internet e se il caporedattore di allora, Gegè Greco,
doveva comunicare qualcosa di urgente ai suoi inviati, lo faceva
attraverso la locale caserma dei Carabinieri chiedendo se avessero
intravisto un auto della RAI e di dire al giornalista di mettersi in
contatto con la redazione centrale.
Poi spiega com’è nata l’idea di pubblicare i diari del padre, Antonino
Corigliano da San Ferdinando che, quasi senza accorgersene, si ritrovò
sottufficiale in Libia a Bengasi, a 24 anni, dopo esser partito per il
servizio militare a Cesena. Una notizia che gettò nello sconforto più
totale la madre, che era di Stromboli (la nonna , in altri termini, di
Gregorio Corigliano). La partenza per la Libia fu straziante, ma
l’odissea di Antonino, classe di ferro 1916, ultimo di dieci figli, 7
dei quali emigrati in America a Brooklyn, era appena agli inizi. Perché,
con lo scoppio della seconda guerra mondiale si ritrovò prigioniero in
India , a Yol, ai piedi dell’Himalaya. 5 lunghi anni in un reticolato e
per compagnia un pennino con cui vergare le sue memorie e i suoi ricordi
tristi, ma pieni di forza. Poi, al ritorno a casa, quelle pagine furono
consegnate a Gregorio, uno dei suoi tre figli, appena quindicenne, che
ha impiegato molto tempo prima di tirarli fuori da quel comodino nel
quale li aveva gelosamente custoditi e dal quale li aveva troppe volte
presi, letti, riletti e riposti, prima di prendere la giusta decisione
di pubblicare quella cronaca di storia vissuta.
L’obiettivo? Far capire cosa era stata per Antonino Corigliano la
seconda guerra mondiale e quali e quante sofferenze gli aveva procurato
l’essere lontano da casa, da quel paese che, come dice Cesare Pavese ne
“La luna e i falò”, “resta ad aspettarti, anche quando non ci sei”.
Nel corso dell’incontro in Commissione cultura, apprezzamento nei
confronti del giornalista Gregorio Corigliano, attualmente editorialista
del “Corriere della Calabria” e commissario del Corecom (il Comitato
regionale per le comunicazioni) è stato espresso dal Vicepresidente
Maria Lucente che ha sottolineato come nel libro “I diari di mio padre”
“viene riaggomitolata e ricompattata la matassa di una vita”.
Parole di apprezzamento sono venute, inoltre, dai consiglieri Massimo Bozzo, Francesco Caruso e Francesco Perri.
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